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Il lavoratore domestico irregolare deve essere retribuito

Il lavoratore domestico irregolare deve essere retribuito

Se c’è prestazione lavorativa deve esserci retribuzione, anche senza permesso di soggiorno.

La prima cosa che vorrei ricordare aprendo questo post è che le persone extracomunitarie senza regolare permesso di soggiorno non possono essere assunte. Si tratta di un’azione illegale e in quanto tale è perseguibile per legge.

Chiarito questo punto, come ben sappiamo, nel lavoro domestico la percentuale di colf e badanti irregolari è molto alta. In questa quota di lavoratori troviamo anche molte persone che svolgono prestazioni lavorative presso le famiglie senza un regolare permesso di soggiorno.

Secondo la sentenza n. 2333/2019 del 25 aprile 2019 (Tribunale di Roma, Sezione Lavoro), il diritto alla retribuzione deve essere riconosciuto anche al lavoratore domestico immigrato privo di regolare titolo di soggiorno. Questo in quanto la nullità del contratto stipulato per contrarietà all’art. 22 del D. Lgs. n. 286 del 1998 non rende inoperante la disposizione espressa dall’art. 2126 c.c., con la conseguenza che gli effetti prodotti dall’esecuzione della prestazione in attuazione di un contratto invalido sono comunque preservati.

Cosa dice la Cassazione?

In questo senso la Cassazione sezione lavoro (26 marzo 2010 n. 7380) sottolinea che la materia è regolata dall’art. 2126 c.c., che così dispone: “La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa (comma 1). Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione (comma 2)”.

Il lavoratore extracomunitario assunto con un contratto di lavoro in violazione dell’art. 22, cit. testo unico sull’immigrazione rientra nella fattispecie dell’art. 2126 c.c.. Rientra nella previsione del comma 1, perché l’illegittimità del contratto deriva dalla mancanza del permesso di soggiorno e non attiene né alla causa (funzione economico sociale del contratto di lavoro), né all’oggetto del contratto, costituito dalla prestazione di lavoro erogata, sempre che la stessa sia una prestazione di lavoro lecita, cosa che nel caso in esame nessuno discute (in senso conforme, sebbene con riferimento al quadro normativo anteriore al t.u. del 1998, cfr. Cass., Sez. 50, 13 ottobre 1998, n. 10128).

Ma la fattispecie in esame rientra anche, e soprattutto, nella previsione del secondo comma della norma codicistica. Infatti, dalla lettura della norma violata (art. 22, cit. T.U.) si evince che tra le sue finalità c’è anche quella di garantire al lavoratore straniero condizioni di vita e di lavoro adeguate.

Funzionali a questo fine sono le disposizioni che impongono al datore di lavoro di esibire “idonea documentazione indicante le modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore” (comma 2) e subordinano il rilascio al datore di lavoro del nulla osta per l’assunzione “al rispetto delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro” (comma 5).

Se, quindi, la disciplina del permesso di soggiorno ha (anche) la finalità di tutelare il lavoratore straniero, la sua violazione è “violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro” (dell’art. 2126 cod. civ., comma 2) e quindi, ai sensi dell’art. 2126 c.c., qualora il contratto venga dichiarato nullo, il lavoratore ha comunque diritto alla retribuzione per il lavoro eseguito”.

Vorrei ricordare alle famiglie datori di lavoro attuali e potenziali che un rapporto di lavoro senza regolare contratto rappresenta un grosso rischio. Nelle situazioni di irregolarità infatti non sono tutelate ne la famiglia ne il collaboratore familiare. Quando alla mancanza di regolare contratto si aggiunge anche l’assenza del permesso di soggiorno, oltre allo spettro della vertenza sindacale, si aggiunge il reato. Per il datore di lavoro scattano sia le sanzioni penali che quelle amministrative.

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