In Italia, le donne in gravidanza sono protette dalla legge per garantire la loro salute e quella del bambino. Solo in casi eccezionali e giustificati possono correre il rischio di essere licenziate. Il datore di lavoro, anche nell’ambito del lavoro domestico, deve fornire una giustificazione adeguata e documentata per il licenziamento e dimostrare che non ci sono alternative meno drastiche.
Nel caso specifico della sentenza che affronteremo nel corso di questo articolo, il tribunale di Roma ha stabilito che il licenziamento della donna incinta è avvenuto per giusta causa: il datore di lavoro domestico, infatti, ha fornito in sede giudiziale prove e giustificazioni adeguate al caso.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA IN GRAVIDANZA: OGGETTO DELLA SENTENZA
Il licenziamento per giusta causa durante il periodo di gravidanza è una questione giuridica delicata e controversa, che può avere gravi conseguenze per le donne lavoratrici. Una recente sentenza del Tribunale di Roma, la n. 4201/2019 pubblicata il 06/05/2019, ha affrontato questo tema in modo chiaro e deciso.
Secondo la legge italiana, le donne in gravidanza godono di una serie di tutele specifiche per proteggere la loro salute e quella del loro bambino. In particolare, la legge prevede che le donne in gravidanza non possano essere licenziate tranne che in casi eccezionali e giustificati.
La sentenza riguarda un caso specifico, il RG n. 8187/2018, in cui una donna lavoratrice incinta è stata licenziata dal suo datore di lavoro per motivi disciplinari. La donna, infatti, non è tornata al lavoro dalle ferie trascorse nel suo paese di origine. Dopo le prime telefonate e messaggi telefonici, la lavoratrice è tornata senza dare alcuna documentazione medica a giustificazione delle assenze. Il giorno successivo al suo rientro si è allontanata dal luogo di lavoro interrompendo il servizio per andare in Pronto Soccorso, senza però comunicare alcunché al datore.
Naturalmente l’assenza della lavoratrice creava molteplici problemi all’organizzazione familiare poiché i genitori contavano su lei per la gestione del loro bambino (scuola e nuoto). Il datore di lavoro ha provveduto ad inviare la prima contestazione scritta al domicilio eletto contrattualmente per il rapporto di lavoro.
Il contratto di lavoro della donna prevedeva anche la convivenza presso la famiglia datrice: questa condizione non è stata rispettata dalla lavoratrice, che ha invece mantenuto questa irresponsabile condotta, fatta di assenze imprevedibili e di disagi alla famiglia datrice, per alcune settimane. Ancora più significativo, non ha fornito traccia di documentazione che attestasse il suo stato interessante, se non dei messaggi sms in cui la stessa, asseriva di aver iniziato la gravidanza.
La sentenza ha così applicato l’articolo 24, comma 3, del C.C.N.L. Lavoratori Domestici, il quale stabilisce che “dall’inizio della gravidanza, purché intervenuta nel corso del rapporto di lavoro, e fino alla cessazione del congedo di maternità, la lavoratrice non può essere licenziata, salvo che per giusta causa. Le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice in tale periodo sono inefficaci ed improduttive di effetti se non comunicate in forma scritta e convalidate con le modalità di cui all’articolo 39 comma 10. Le assenze non giustificate entro cinque giorni, ove non si verifichino cause di forza maggiore, sono da considerare giusta causa di licenziamento della lavoratrice”.
In conclusione, l’esisto della sentenza vede convalidare il licenziamento intimato alla lavoratrice domestica in stato di gravidanza per giusta causa, per avere la stessa mancato di “giustificare al datore di lavoro il motivo delle proprie reiterate protratte assenze”. In udienza il datore di lavoro ha provato la condotta della lavoratrice e le contestazioni. Di contro, la lavoratrice, non ha provato di aver consegnato al datore un documento attestante l’inizio di gravidanza.