LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI BERGAMO SU MATERNITÀ E LAVORO DOMESTICO

La sentenza del tribunale di Bergamo su maternità e lavoro domestico

La sentenza conferma l’importanza di tutelare le donne in gravidanza anche nel lavoro domestico

Nello scorso articolo sul tema del rapporto tra maternità e lavoro domestico, abbiamo introdotto l’oggetto della sentenza n. 62/2021, che ha stabilito che la donna protagonista della vicenda, lavoratrice domestica, era incinta al momento del licenziamento, come comprovato dal certificato medico, ma ha anche precisato che l’art. 54 del d.lgs. n. 151/200, che tutela la maternità delle lavoratrici, non si applica al lavoro domestico.

Inoltre, è importante notare che, nonostante la tutela della maternità non si applichi direttamente al lavoro domestico, la lavoratrice ha comunque diritto ad una tutela contro il licenziamento ingiustificato. Questa tutela è fornita dall’art. 3 della legge n. 604/1966, che prevede il divieto di licenziamento discriminatorio, ovvero il licenziamento che abbia come causa la gravidanza o la maternità della lavoratrice.

Nel caso in questione, è stato accertato che il licenziamento della lavoratrice non era discriminatorio, ma era stato motivato da giustificato motivo oggettivo. Pertanto, la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro non è stata accolta.

Tuttavia, la lavoratrice ha avuto diritto ad un risarcimento del danno patito a causa del licenziamento. In particolare, la Corte ha stabilito che la lavoratrice ha diritto ad una somma pari alla retribuzione globale di fatto dal momento del licenziamento fino alla fine del periodo di astensione obbligatoria per maternità. Inoltre, la lavoratrice ha diritto ad un risarcimento per le differenze retributive relative alle mansioni svolte, ovvero quelle del livello C-super del Ccnl collaboratori familiari lavoro domestico.

In conclusione, la sentenza in questione conferma l’importanza di garantire una tutela adeguata alle lavoratrici in gravidanza e in maternità, anche nel contesto del lavoro domestico. Pur non essendo applicabile l’art. 54 del d.lgs. n. 151/2001, che prevede la tutela della maternità per le lavoratrici dipendenti, è comunque necessario garantire una tutela contro il licenziamento discriminatorio e il risarcimento del danno patito a causa del licenziamento ingiustificato.

 

MATERNITÀ E LAVORO DOMESTICO: LA CONVENZIONE OIL

Il licenziamento di una lavoratrice in gravidanza rappresenta una grave violazione dei diritti della lavoratrice e una discriminazione di genere. Infatti, la maternità e il lavoro non dovrebbero essere considerati come concetti incompatibili, ma come esigenze che possono coesistere e trovare una soluzione equilibrata. Tuttavia, non sempre la realtà lavorativa risponde a queste esigenze e molte donne si trovano ad affrontare difficoltà e discriminazioni durante la gravidanza e dopo la nascita del figlio.

In Italia esiste una normativa che tutela le lavoratrici in stato di gravidanza, come ad esempio l’articolo 54 del d.lgs. n. 151/2001, che prevede il divieto di licenziamento in costanza di gravidanza e fino a un anno di vita del bambino. Tuttavia, come evidenziato nel caso descritto dalla sentenza, questa normativa non si applica al lavoro domestico, lasciando le lavoratrici prive di una adeguata tutela.

Ciò nonostante, esistono strumenti normativi che possono offrire una protezione alle lavoratrici in gravidanza anche nel caso del lavoro domestico, come ad esempio la Convenzione OIL n. 189 del 2011, che prevede norme specifiche per il lavoro domestico, tra cui la tutela della maternità. Inoltre, la giurisprudenza ha riconosciuto il divieto di licenziamento per le lavoratrici domestiche in stato di gravidanza, basandosi sul principio di non discriminazione.

Tuttavia, la discriminazione nei confronti delle lavoratrici in gravidanza e delle neomamme rimane una realtà diffusa. Spesso le donne si trovano costrette ad accettare condizioni di lavoro precarie o a rinunciare alla propria carriera per poter conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative. In molti casi, le lavoratrici sono costrette a scegliere tra la propria famiglia e la propria carriera, subendo una penalizzazione economica e professionale.

Per far fronte a questa situazione, sono necessarie politiche pubbliche che promuovano la conciliazione tra maternità e lavoro, attraverso la creazione di servizi per l’infanzia, l’adozione di misure di flessibilità lavorativa e l’istituzione di congedi parentali retribuiti e condivisibili tra genitori. Inoltre, è fondamentale una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione delle imprese e dei datori di lavoro sull’importanza di garantire una adeguata tutela della maternità e di favorire la conciliazione tra vita familiare e lavoro.

 

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MATERNITÀ E LAVORO DOMESTICO

maternità e lavoro domestico

Sentenza n. 62/2021 pubbl. il 28/01/2021 RG n. 1309/2019 

Maternità e lavoro sono due aspetti della vita delle donne che spesso entrano in conflitto. La recente sentenza n. 62/2021 pubbl. il 28/01/2021 RG n. 1309/2019 del Tribunale Ordinario di Bergamo, riguardante una lavoratrice domestica licenziata durante la gravidanza, mette in luce la necessità di garantire una maggiore tutela alle donne che diventano madri e lavorano.  

La maternità è una fase fondamentale della vita delle donne, ma può anche essere una delle più difficili da conciliare con il lavoro. Le donne che diventano madri spesso si trovano a dover fare i conti con il pregiudizio che le vede come meno produttive e meno capaci di dedicarsi al lavoro a causa della cura dei figli. Ciò può portare a licenziamenti, discriminazioni e una scarsa considerazione delle loro capacità. La sentenza che ha visto protagonista la lavoratrice domestica, licenziata durante la gravidanza, mette in evidenza ancora una volta la necessità di una maggiore tutela dei diritti delle donne in queste situazioni. 

Sebbene la maternità sia un evento biologico che coinvolge solo le donne, la sua gestione dovrebbe essere una responsabilità condivisa tra genitori e datori di lavoro. Tuttavia, spesso le donne si trovano a dover affrontare la maggior parte delle responsabilità legate alla cura dei figli, il che può limitare le loro opportunità di carriera e la loro capacità di mantenere un lavoro. Inoltre, molte donne sono costrette a scegliere tra il lavoro e la famiglia a causa della mancanza di politiche di conciliazione tra vita professionale e familiare. Ad esempio, la mancanza di asili nido e di orari di lavoro flessibili può impedire alle donne di mantenere il proprio lavoro e, allo stesso tempo, dedicarsi alla cura dei propri figli. 

In sostanza, le donne che diventano madri spesso si trovano a dover fare i conti con la discriminazione sul lavoro. Per garantire una maggiore tutela ai diritti delle donne in gravidanza e delle madri lavoratrici, è necessario adottare politiche di conciliazione tra vita professionale e familiare che favoriscano una maggiore flessibilità degli orari di lavoro e l’accesso a servizi di assistenza all’infanzia. 

MATERNITÀ E LAVORO DOMESTICO: L’OGGETTO DELLA SENTENZA 

La lavoratrice domestica ha presentato un ricorso al Tribunale chiedendo di accertare l’invalidità e l’illegittimità del licenziamento e di disporre la prosecuzione del rapporto di lavoro domestico fino alla ripresa in servizio o fino al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità. Inoltre, ha chiesto un risarcimento del danno patito commisurato alla retribuzione globale di fatto e la corresponsione di differenze retributive. Il tribunale ha accettato solo in parte la richiesta della lavoratrice. 

La sentenza ha stabilito che la lavoratrice domestica era incinta al momento del licenziamento, come comprovato dal certificato medico, ma ha anche precisato che l’art. 54 del d.lgs. n. 151/200, che tutela la maternità delle lavoratrici, non si applica al lavoro domestico. La Corte di Cassazione aveva inizialmente ritenuto che la tutela della maternità si applicasse anche al lavoro domestico, ma successivamente ha cambiato orientamento e ha escluso tale tutela. Il tribunale, pur non riscontrando una giusta causa come esplicitato ai sensi dell’art.25 del CCNL di categoria, ha poi stabilito che la lavoratrice aveva svolto mansioni di collaboratrice familiare convivente, pur avendo un contratto part-time per 25 ore settimanali. La sentenza ha quindi condannato il datore di lavoro ad alcune differenze retributive, ma non alla reintegrazione nel posto di lavoro. 

Questa sentenza mette in luce le difficoltà che le donne affrontano nel conciliare la maternità e il lavoro, soprattutto quando si tratta di lavori domestici non regolamentati. Le lavoratrici che svolgono lavori domestici hanno spesso contratti a tempo parziale e retribuzioni basse, il che rende difficile per loro affrontare i costi della cura dei figli e spesso le obbliga a lavorare anche durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità. Inoltre, le leggi che tutelano la maternità delle lavoratrici non si applicano a questo tipo di lavoro. 

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